Guerra alla conseguenze dei disastri naturali
(Guglielmo Colombi / Marzo 2011)

Prima Katrina, poi la marea di petrolio, negli Usa. Poi lo tsunami sulle coste dell'estremo oriente. Poi il terremoto ad Haiti, in Cile, in Cina e in Nuova Zelanda. Poi l'inondazione in Australia. Oggi, il terremoto con tsunami e rischio atomico in Giappone. In Italia, il terremoto de L'Aquila; gli smottamenti in provincia di Messina; le esondazioni del Veneto e decine di altri minori disastri naturali.

Quello che risulta con evidenza è che la natura sembra lontana dall'essere "domata" dall'arrogante specie umana, che dalla sua apparizione fa alcuni sforzi per sottomettere la natura e ogni sforzo possibile per provocarla. E quello che appare chiaro è che i singoli Stati, e il mondo come insieme, non sono affatto attrezzati per difendere l'umanità dai disastri naturali.

I disastri difficilmente possono essere evitati, ma possono esserne minimizzate e risarcite le conseguenze. Gli essere umani, che sono pronti a fare quasi tutte le guerre possibili (da quella alla droga a quella al terrorismo, da quelle del petrolio a quelle di religione, da quelle per l'indipendenza a quelle razziali o tribali), non hanno ancora pensato all'unica guerra veramente indispensabile: la guerra per la prevenzione e contro le conseguenze dei disastri naturali.

I caso tsunami in estremo oriente ha evidenziato che non esiste un sistema interstatale di controllo e allarme tempestivo. Il caso marea nera in Luisiana ha reso evidente che non esiste una procedura per spegnere un pozzo di petrolio in avaria. Il caso Haiti ha dimostrato che non esiste alcun accordo internazionale per l'aiuto ai Paesi colpiti da catastrofi. Il caso L'Aquila è la prova che non sappiamo come procedere alla ricostruzione di una città terremotata. Esiste una forza militare di intervento internazionale (NATO, Onu, ecc.), ma non esiste un suo corrispettivo per la protezione civile.

L'Europa ha regolamentato la lunghezza delle zucchine, ma non ha pensato di proibire gli edifici costruiti negli alvei e sugli argini dei fiumi (che in Italia sembra essere una moda). I giapponesi sono bravi nel costruire edifici antisismici, ma in Cile e a l'Aquila non lo sanno ancora. I fiumi che esondano, le foreste che si incendiano, le montagne che smottano ovunque nel mondo testimoniano che non esiste un governo al mondo che abbia una seria politica del territorio.

Il mondo sembra avviato alla morte per sete, mentre nel deserto egiziano e saudita proliferano le piscine, i giardini e i laghi artificiali. Evidentemente il mondo ha più a cuore il petrolio arabo che le sue tecnologie di dissalazione dell' acqua di mare. Ed è altrettanto evidente che non esiste una diffusione planetaria delle "migliori pratiche" di ogni Paese.

Il disordine infine è massimo nel campo dei "risarcimenti"e delle "ricostruzioni". Attualmente gli aiuti economici sono assegnati in base alle capacità di una popolazione disastrata di strillare sui mass media. Gli aiuti nazionali o internazionali, i risarcimenti, le esenzioni sono decisi di volta in volta, senza alcuna procedura, ma in base all'eco televisiva. A l'Aquila in sei mesi si sono costruite case ( sia pure temporanee) per gli abitanti colpiti dal disastro, mentre molti terremotati di 20-30 anni fa stanno ancora nei containers . Le ricostruzioni qui si fanno, là non si fanno; qui si ricostruisce, là si restaura; qui si mette un commissario speciale, là si lascia tutto in mani agli Enti locali. Non esistono protocolli nazionali nè tantomeno internazionali per gli interventi immediati, per gli aiuti, per la ricostruzione.

La quarta guerra mondiale (la terza è in atto ora) dovrebbe essere solo quella per la prevenzione e la gestione delle conseguenza dei disastri naturali.