Cassa integrazione clientelare by Valentina

«Lo chiamano sussidio a piè di lista: e mai questo termine è sembrato più appropriato. A piè di lista perché in sede regionale si certifica, in sede nazionale si paga. Ma i conti li paghiamo noi. Sto parlando della Cassa integrazione in deroga, che oramai riguarda 500.000 lavoratori. Ma molti di questi non lavorano più; riguarda aziende che non esistono più; riguarda un vitalizio che viene erogato unicamente per comprare il consenso sociale, che viene erogato unicamente per blindare le rendite di posizione, sempre più deboli, di una politica che ha, nella sua logica redistributiva, la ragion d’essere: come nella Prima Repubblica, ancora di più, non è cambiato nulla. Si certifica a Napoli, a Bari, a Reggio Calabria, si paga a Roma: con i soldi dei contribuenti. La Cassa integrazione in deroga, pensate, costa quanto il gettito dell’Imu: la paghiamo noi e non serve a nulla. Non serve ai lavoratori che ne beneficiano, che diventano dei parassiti e rinunciano a qualificarsi e a tornare sul mercato (…); non serve alle imprese, che in questo modo non fanno alcuno sforzo di riconvertirsi, restano a galleggiare in un limbo: spesso non esistono più neanche. Un sussidio su quattro, dice la Commissione parlamentare che se n’è occupata, è falso, indebito: è dovuto senza ragione (…). Nell’Italia in cui tutto dovrebbe cambiare, non è cambiato nulla: e i conti li paghiamo noi» (Alessandro Barbano, direttore de Il Mattino). (fonte)

Tutti i lavoratori pagano le tasse, ma solo pochi “amici del sindacato” hanno una cassa integrazione.

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